Un sostegno per madri emigrate nel nostro paese

Questo breve articolo ha l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema delle difficoltà psicologiche che a volte incontrano le madri e le donne emigrate in Italia per lavorare, separandosi dai propri figli, dai propri mariti e dai propri cari. L’articolo è dedicato a queste donne e a quanti nel nostri paese sono in relazione con loro. Mi riferisco in particolare alle famiglie italiane che le ospitano, all’interno delle quali esse spesso compiono lavori domestici o accudiscono i nostri anziani.

Orfani bianchi è il termine che viene utilizzato per nominare quei bambini, figli di migranti emigrati all’estero, che crescono senza la presenza di uno o entrambi i genitori.

Facciamo un esempio soltanto: consideriamo un paese come la Romania. Da uno studio effettuato dell’Unicef nel 2008, emerge che sarebbero 350mila i minori romeni che hanno almeno un genitore all’estero. Di questi, 126mila hanno entrambi i genitori in un paese straniero ed hanno meno di dieci anni (www.balcanicaucaso.org). Questi bambini a volte vengono affidati  a parenti, a volte rimangono completamente soli ad accudire la fratria e, nella sofferenza causata dalla lontananza dai propri genitori, possono diventare giovani problematici, depressi, a rischio anche di suicidio o coinvolti nelle strade dell’illegalità.

Per gestire questa problematica, alcuni paesi si stanno attivando. Va citato l’esempio efficace dato dall’Associazione “Alternative Sociale” che nella Moldova Romena si occupa di sensibilizzare su questo tema l’opinione pubblica, e fornisce supporto ai minori che rimangono senza uno o entrambi i genitori.

Ma un lavoro importante può essere fatto anche nel nostro paese, che ospita migliaia di genitori migranti i cui figli vivono senza di loro in paesi lontani. Molte madri sono accorse da paesi come l’Ucraina, la Romania, la Moldavia in cerca di occupazione, spesso occupandosi di lavori domestici nelle nostre case o prendendosi cura dei nostri anziani. Lontano dai loro cari, e a contatto con la sofferenza e la malattia dei nostri familiari di cui si prendono cura, queste donne vivono spesso situazioni psicologicamente difficili e a volte anche alienanti nel nostro paese, che possono peggiorare al loro ritorno in patria. Due psichiatri ucraini, Andruy Kieselyov e Anatolij Faifrych, nel 2005 hanno coniato il termine “Sindrome italiana”, per identificare la depressione che colpiva molte donne tornate nel loro paese di origine, dopo anni trascorsi in Italia, lavorando spesso come badanti. Al loro ritorno, queste donne trovano i propri figli cresciuti, il rapporto con gli stessi deteriorato dalla distanza, e spesso anche il rapporto con la rete familiare allargata modificato in senso negativo, al punto che le stesse faticano a reinserirsi nel proprio ambiente di vita.

Pertanto, se da un lato è importante che paesi stranieri sostengano i minori le cui madri lavorano all’estero, dall’Italia è basilare che un sostegno psicologico venga dato anche alle madri migranti, sia per aiutarle a mantenere un contatto nella distanza con i propri figli e con le proprie famiglie, sia per sostenerle psicologicamente nell’affrontare i lavori spesso emotivamente complessi di cui esse si occupano nel nostro paese.

Il sogno è che le persone, anche straniere, vincano il pregiudizio legato al fatto che rivolgersi ad uno psicologo rappresenti un errore, un’inutilità, o semplicemente un danno economico.

Il lavoro di prevenzione che si può fare in questi casi è enorme, e a beneficiarne saranno non solo i migranti che vivono in Italia, ma anche i loro cari rimasti nel paese di origine, ed infine le famiglie italiane stesse, che ospitano nelle proprie case badanti straniere. Anche a queste ultime va l’invito a comprendere queste lavoratrici e ad indirizzarle, qualora sofferenti, verso la possibilità di un sostegno psicologico.

Dott.ssa Sara Reginella

Articolo scritto e pubblicato dalla dott.ssa Sara Reginella l’1 febbraio 2013.

Un sostegno per madri emigrate nel nostro paese

2 commenti su “Un sostegno per madri emigrate nel nostro paese

  1. Ciao ho un contratto di larvoo con 4ore al giorno da lunedi fino sabato con la convivenza come domestica 700 mensile e in contratto scrive 600 invece io sono la badande di mamma di datore di larvoo 24su24. Faccio la spesa cuccino, lavo, stiro,stendo i panni, esco con il vecchieto con la carozzina e una pers nonautosuficiente e dipende in tutto da me. I filli non mi danno nessuna mano perche mi hanno detto che sto io la e devo fare. Esco solo due ore al giorno in conto mio e qualche ore la domenica non mi se rispetta il orario di larvoo ea me non mi sembra giusto ne lo stipendio e ne contratto part time per quello che faccio. La loro risposta e che sevho bisogno di lavorare LAVORO E QUESTO E SE NON SONO CAPACE O CONTENTA POSSO ANDARE. La mia domanda e perche INPS acceta queste contratte quando si sa che non sono vere?E perche non si fanno le controlle in queste fam dove eun contratto di larvoo del genere? Noi siamo come voi allora perche dobbiamo lavorare come i schiavi sensa nessun diritto? grazie

    1. Gentile signora, la situazione che lei descrive è senzaltro fonte di stress. Il lavoro di badante è di per sé molto faticoso, e quando le ore di lavoro sono eccessive e il rapporto con la famiglia ospitante è negativo, come nel suo caso, i problemi aumentano.
      Mi rendo conto delle difficoltà che ci sono oggi in Italia nel trovare lavoro. Ma le suggerisco di farsi aiutare ad uscire o a risolvere in modo costruttivo questa situazione che la sta facendo soffrire.
      Se vuole può contattarmi telefonicamente per verificare l’esistenza nella sua zona di colleghi e centri di sostegno ai migranti che possano offrirle aiuto in questo momento per lei così difficile.
      La ringrazio per il suo messaggio
      Un caro saluto,
      Dott.ssa Sara Reginella

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