Uno studio di Brain Imaging sull’attività cerebrale, condotto presso l’Università di Chicago, ha dimostrato che negli individui che tendono a trascorrere molto tempo in solitudine, le aree cerebrali associate ai centri del piacere sono attivate in misura maggiore da immagini raffiguranti oggetti piuttosto che da immagini raffiguranti persone.
Le persone che trascorrono molto tempo in solitudine, quindi, sarebbero attratte in misura inferiore dalla possibilità di entrare in relazione con gli altri perché tali interazioni procurerebbero loro un aumento ulteriore di alienazione.
Questo circolo vizioso che si crea ha spesso serie conseguenze, in quanto la solitudine è sovente un predittore di disagi quali depressione, obesità, aumento della pressione sanguigna e problemi cardiaci.
Dallo studio emerge inoltre che le persone che tendono ad isolarsi, contrariamente a quelle che sono soddisfatte delle loro relazioni sociali, quando osservano immagini di persone tristi mostrano un’attivazione neurale inferiore in un’area del cervello che gioca un ruolo importante nella comprensione del punto di vista altrui. Ciò comporta una loro maggiore difficoltà nel comprendere quando un individuo soffre e ha bisogno di conforto. Questo aspetto finisce per rappresentare un grosso ostacolo per il raggiungimento di relazioni interpersonali appaganti.
Quello che conta però è che, attraverso un percorso psicologico, l’individuo può diventare maggiormente consapevole sia delle sue tendenze comportamentali che lo portano ad isolarsi sia dei motivi associati a tali modalità relazionali che lo fanno sentire a disagio. Intervenendo su di esse egli potrà raggiungere una migliore qualità della vita che possa renderlo maggiormente appagato sia a livello individuale che a livello interpersonale.
Fonte: Psychology Today – dicembre 2009
Dott.ssa Sara Reginella
L’articolo è stato scritto dalla dott.ssa Sara Reginella e pubblicato per la prima volta nel web il 9 luglio 2010.